Comincio praticamente autocitandomi, riportando alla luce e ripubblicando un breve racconto scritto 5 anni fa per il sito di F. (non taglio, non cucio e non modifico nulla, anche se mi imbarazza il modo in cui è scritto. Non ha importanza se nel tempo trascorso ho letto diversi libri 'giusti' più che altro per darmi un tono. O un topo, o un toro.)
Bologna, tardo autunno (2001)
Io e Roberto, dopo una mattinata al Museo di arte Moderna, siamo andati al parco a vedere i colori di fine autunno prima che si stacchino dai rami e scompaiano macerati sotto le scarpette chic e l’inverno. Non c’era in vista quasi nessuno e il parco sembrava due volte più grande.
Ormai eravamo in mezzo al grande prato, il sole degli inizi dell’inverno non aveva da offrire calore autentico, ma garantiva un effetto placebo. Gli alberi verso i quali stavamo camminando erano incendiati di colore. Un arancio fulgido serpeggiava nel viola cupo a formare strani geroglifici e simboli, come marchi impressi nella pelle di qualche animale druidico. Non avevano nulla da invidiare a quanto aveva da offrire il museo. Anch’essi possedevano l’indefinibile qualità della grande arte. Quando ci siamo avvicinati di più abbiamo visto dissolversi lo splendore prodotto dalla lontananza e come il vento e il gelo di novembre avessero riscosso il loro prezzo. Quanto ci era sembrato rigoglioso e saturo solo due minuti e cento metri prima, ora ci appariva spoglio e spento. Sotto di noi crepitavano a mucchi le foglie scartate e accartocciate. Ci siamo accorti che sui rami resistevano solo file di caparbi residui appesi a casaccio, quanto bastava perché, con il gioco della distanza, ne risultasse l’immagine fantasma di una bellezza trascorsa. Le illusioni di cui è capace la natura non sono uguagliabili nemmeno dall’arte più squisita. Il mostro marchiato a fuoco che avevamo visto quando eravamo ancora nel prato ora non era altro che un albero denudato. Mentre ci dirigevamo verso l’uscita, ci siamo girati per un ultimo sguardo. Eravamo troppo vicini per cogliere la magia. C’era solo un uccello solitario su un ramo. Ha alzato la testa in un atteggiamento di maestà, come se fosse lui il responsabile della straordinaria opera di mistificazione di cui eravamo caduti vittime.
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Bologna, tardo autunno (2001)
Io e Roberto, dopo una mattinata al Museo di arte Moderna, siamo andati al parco a vedere i colori di fine autunno prima che si stacchino dai rami e scompaiano macerati sotto le scarpette chic e l’inverno. Non c’era in vista quasi nessuno e il parco sembrava due volte più grande.
Ormai eravamo in mezzo al grande prato, il sole degli inizi dell’inverno non aveva da offrire calore autentico, ma garantiva un effetto placebo. Gli alberi verso i quali stavamo camminando erano incendiati di colore. Un arancio fulgido serpeggiava nel viola cupo a formare strani geroglifici e simboli, come marchi impressi nella pelle di qualche animale druidico. Non avevano nulla da invidiare a quanto aveva da offrire il museo. Anch’essi possedevano l’indefinibile qualità della grande arte. Quando ci siamo avvicinati di più abbiamo visto dissolversi lo splendore prodotto dalla lontananza e come il vento e il gelo di novembre avessero riscosso il loro prezzo. Quanto ci era sembrato rigoglioso e saturo solo due minuti e cento metri prima, ora ci appariva spoglio e spento. Sotto di noi crepitavano a mucchi le foglie scartate e accartocciate. Ci siamo accorti che sui rami resistevano solo file di caparbi residui appesi a casaccio, quanto bastava perché, con il gioco della distanza, ne risultasse l’immagine fantasma di una bellezza trascorsa. Le illusioni di cui è capace la natura non sono uguagliabili nemmeno dall’arte più squisita. Il mostro marchiato a fuoco che avevamo visto quando eravamo ancora nel prato ora non era altro che un albero denudato. Mentre ci dirigevamo verso l’uscita, ci siamo girati per un ultimo sguardo. Eravamo troppo vicini per cogliere la magia. C’era solo un uccello solitario su un ramo. Ha alzato la testa in un atteggiamento di maestà, come se fosse lui il responsabile della straordinaria opera di mistificazione di cui eravamo caduti vittime.
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1 Comments:
Ma la figura dell'uccello è ambigua o ha un senso univoco? In quest'ultimo caso, può davvero il membro maschile ergersi sì maestosamente alla creazione naturale? L'albero denudato è un chiaro simbolo di omosessualità, con un richiamo evidente all'affresco "Nozze di Alessandro e Rossane" di Giovanni Antonio Bazzi, detto "er Sodoma de Vercelli"?
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